Non è una vita nuova, è la vita d’ieri che Fra Ignazio vive nel Convento del Buon Cammino. Il Convento oggi è come ieri. E› arri- vato un altro Laico e ci se n›acco- rge appena, perché la comunità dei frati è proprio come un porto di mare, e chi viene e chi va. Inoltre la vita di obbedienza che vi si vive nella serenità dell’ideale france- scano non permette emozioni per le partenze, né particolari feste per gli arrivi: un benvenuto ed il bacio della pace è tutto: in coro e a men- sa ci si ritrova tutti.
I Frati si ritrovano: Refettorio, pre- ghiera, lettura edificante, lavoro e cibo comuni: i frati sono e appaia- no tutti eguali: la regola accettata per una particolare vocazione, l’ambiente francescano che da essa ne deriva, l’obbedienza carat- teristica della comunità, semplice e schietta, la gerarchia pur neces- saria e di periodica elezione e che non crea previlegio alcuno o pre- minenza, salvo quello della santità, tiene i frati uniti e li fa tutti eguali nella loro grande diversità.
Come fece fra Ignazio a distinguersi?
Forse nelle prime settimane stan- do all’ultimo posto come l’ultimo arrivato, in fondo ad uno dei lun- ghi tavoloni a destra o a sinistra del Refettorio. Forse l’obbedienza ch’ebbe al suo arrivo: piglia la tua bisaccia e va…
Nessuno s’accorse di Lui: dopo qualche tempo con la sua presenza fisica si incominciò a notare la sua assenza: non parlava. Si disse di Lui che «si aveva desiderio della sua voce». Non aveva bisogno di nulla, non aveva nulla da dire né da riferire. Né il Guardiano aveva nulla da chiedergli perché quel che doveva fare nell’esser sempre fatto, come risulta, non dava motivo di doverne parlare. Ma in comunità si distinguono quelli che parlano più del necessario, e ci sono, e quelli che come fra Ignazio del silenzio fanno una regola propria nella Regola di tutti. Quest’ultimo è un modo assai difficile di distinguersi alla fine, e che viene più facilmente notato da quelli che hanno il costume opposto. Uno di questi gli avrà chiesto qualche cosa: ma tu, fratello, che fai? Ed Egli avrà risposto com’ebbe a rispondere in altre occasioni: «Io non faccio niente». E se qualche giudizio a lungo andare gli sarà capitato di sentire, noi sappiamo la sua risposta: «Io sono buono a nulla». Risposte di questo genere anche in Convento se a lungo andare danno ai migliori una indicazione favorevole, ad altri possono o dar un senso d’insofferenza o magari un’occasione per mortificare il prossimo: proprio così, buono a nulla, il nostro caro fra Ignazio. A questa maniera, mostrandosi fra Ignazio persuaso più degli stessi obiettori e senz’ombra di scherzo o di falsa indegnità d’esser proprio l’ultimo del Convento Maggiore di Cagliari, solo per questo si trovò ad essere il primo sia pure, per le ragioni dette, cominciando dall’altra parte.
Non dovette mancare, come ricaviamo da certi accenni nei documenti sulla sua vita, chi in mancanza di qualche cosa, o di fronte al nulla, cominciò ad apprezzare la profondità di un’anima che amava rimanere nascosta perché segretamente lavorava a svuotarsi di se stessa.
Si legge in più parti come in quel tempo il Convento di Buon Cammino fosse ricco di buoni frati, e fra questi alcuni molto noti e benvoluti, per santità di vita e per doti d’intelletto o di dottrina. Fra Ignazio si scelse un confessore, Fra Giuseppe Maria da Cagliari, religioso, come consta, piissimo e dottissimo. In Convento questa scelta fu notata e giudicata come rivelazione di prudenza. Ad un certo momento senza che a noi sia possibile di fissarne approssimativamente la data, questa cristiana prudenza portò gli altri religiosi ad osservarlo più attentamente, a consultarlo nei loro dubbi ed affari di maggior importanza», a confermare le prime notizie circa l›austerità della disciplina e la candidezza di quest’anima, che pure si era illuminata con aspetti e modi che parevano neutri se non negativi. Ebbene dell’uomo comune, sia che viva nel secolo o nella Regola religiosa, non si dice nulla: ma quando si cominci a dirne alcunché di bene, sono proprio gli uomini comuni che per primi si dispongono a esercitare il controllo, a vagliare i fatti e le parole, a interpretare i pregi e ad esagerare, quando se ne offre il fianco, i difetti.
Qua e là episodi riferiti con altra intenzione o testimonianze di religiosi confermano che passarono molti anni prima che i più scettici si arrendessero.
Le prove ci furono, e non poche volte ripreso o strapazzato quando lo si cercava e non lo si trovava: chissà dov’era? Lo vedremo dov’era (segue).